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L’alpeggio un Carnia

La secolare pratica dell’alpeggio Carnico indica l’attività agro-zootecnica con il bestiame in altura. Deve la sua origine principalmente a motivi di carattere primario, economico e di praticità. Nelle zone alpine e prealpine il bestiame, in particolare quello bovino, era la fonte primaria di reddito e più alto era il numero di capi che si potevano mantenere maggiori erano le possibilità economiche a disposizione della famiglia. Strettamente legata all’aspetto economico troviamo la pratica della fienagione che nei paesi si protraeva da giugno a settembre e vedeva impegnate le persone che vi si dedicavano dall’alba al tramonto. Una stalla con bestiame da accudire richiedeva circa quattro ore di lavoro al giorno, ore tolte alla fienagione. Balza evidente che, sgravati da un simile fisso impegno, ci si poteva dedicare maggiormente alla produzione di fieno nella quantità necessaria per il mantenimento degli animali al loro rientro nelle stalle finita la stagione dell’alpeggio.
Anche di fronte ai grandi cambiamenti sociali di questi ultimi decenni i motivi fondanti l’ origine della pratica dell’alpeggio rimangono sempre validi, pur non parlando più di micro-aziende a carattere famigliare, ma di aziende zootecniche più consistenti e condotte con le più moderne tecniche aziendali.
Le abitazioni in muratura, con il tetto un tempo ricoperto di tavolette di legno di larice (scjàndule),sviluppate nel senso della lunghezza. Le vacche “ospiti” vi trovano riparo e possono riposare. La casera (casérè) è una costruzione in muratura che richiama una normale casa, costruita nella vicinanza delle logge spesso a chiusura di un cerchio o altra forma geometrica richiesta o permessa dalla disposizione delle logge esistenti, a loro volta condizionate dalla conformazione del terreno su cui sorgono.
La casera tradizionale, oggi presente solo in poche unità in regione, è una costruzione spartana, che si limita all’essenziale per la vita delle persone e per la lavorazione del latte.
Al piano terra ci sono due locali: uno adibito a cucina/alloggio per le persone e per la lavorazione a ciclo completo del latte, un altro, più piccolo, per la conservazione/stagionatura del formaggio (célaar). Il pavimento è in pietra e tutto ruota attorno al focolare a cielo aperto che spesso affumica non solo le ricotte poste sopra una graticola (sécjaròle), ma anche le persone che vi sono ospitate; non c’è un soffitto e il fumo esce da un buco nel tetto riparato da una tettoia; in un angolo c’è una scala che porta al piano superiore dove, su un pavimento in legno sopra la stanza di conservazione/stagionatura del formaggio, c‘è un soppalco adibito a camerata per il riposo notturno.
Oggi quasi tutte le casere delle malghe monticate sono state ristrutturate e rese “civili abitazioni” per le persone e più rispondenti alle attuali normative igieniche richieste per la lavorazione del latte.

UN PO’ DI STORIA

Come su tutte le Alpi, anche nella cerchia alpina e prealpina del Friuli Venezia Giulia, l’alpeggio ha una sua storia secolare, con ritmi, tempi e usanze tramandate di generazione in generazione. Storicamente trova testimonianze precise nel periodo del Patriarcato di Aquileia (1077-1420). Particolare importanza assume la concessione fatta nell’anno 1275 dal patriarca Raimondo della Torre agli uomini della Carnia di poter mettere a coltura i terreni sino allora utilizzati e sfruttati come prato e pascolo, dietro corresponsione di una decima. I terreni più comodi furono subito trasformati al massimo possibile in coltura per cercare di soddisfare le crescenti necessità alimentari della popolazione. La conseguente perdita di terreno adibito a pascolo spinse alla ricerca di pascoli sostitutivi provocando l’espansione di quelli in quota, ottenuti per disboscamento. Nei pascoli raggiungibili in un paio d’ore di cammino sorsero degli stavoli (stàli) atti al ricovero estivo del bestiame, costituendo l’alpeggio.

LA MALGA

Un misto fra pratica della fienagione e pascolo: il bestiame vi saliva in giugno e si nutriva utilizzando il pascolo lontano, mentre il prato comodo e vicino veniva sfalciato per costituire la riserva di fieno per la stagione fredda. Più lontano e
in altura sorsero le malghe.
Caduto il Patriarcato e subentrata la Repubblica di Venezia (1420-1797), lo sfruttamento del pascolo fu regolamentato e furono posti dei divieti per pecore e capre al fine di proteggere soprattutto i boschi di faggio, legno importante per le esigenze dell’Arsenale. Nel breve periodo napoleonico (1797-1814) sorsero i Comuni; non ci furono novità per le terre alte.
Durante il dominio asburgico (1814-1866) l’utilizzo dei pascoli e dei boschi venne sempre più regolamentato e i Comuni, che dai patriarchi avevano avuto in dono le malghe, vendettero alcune proprietà a dei privati e il ricavato fu utilizzato per opere pubbliche a favore della propria comunità. In questo periodo assunse notevole importanza il censimento dei pascoli alpini e il fatto che a loro venisse attribuita una rendita ai fini fiscali superiore a quella dei pascoli vicini ai paesi o di fondovalle sta a dimostrare l’importanza assunta dalle malghe per l’amministrazione asburgica.
Dal 1866 il Friuli viene annesso al Regno d’Italia e le leggi di fine secolo favorirono i boschi a scapito dei pascoli, ma la gran parte delle malghe, per la loro ubicazione spesso oltre il limite della vegetazione arborea, non ne risentirono.

IERI E OGGI

Negli ultimi decenni, la riorganizzazione dei sistemi zootecnici alpini, quali la concentrazione delle attività nei siti più favorevoli, l’aumento delle dimensioni aziendali, il miglioramento genetico degli animali allevati, il largo uso di alimentiextra-aziendali, hanno determinato il sottoutilizzo o, spesso, l’abbandono dei prati e dei pascoli. Tali effetti negativi sono stati particolarmenteintensi nel Friuli Venezia Giulia dove il territoriomontano, che rappresenta oltre il 40% della superficie regionale, è caratterizzato da una condizione economica e sociale che lo distingue negativamente da gran parte delle aree alpine.
Agli inizi del secolo scorso in Friuli Venezia Giuliasi contavano circa 350 malghe attive e il numero rimase elevato fino al secondo dopoguerraquando, anche in seguito all’espansione dell’industrializzazione e del terziario, iniziò un rapido calo.
Per una corretta lettura di questi ultimi dati, chepotrebbero far pensare ad una caduta verticale,bisogna prendere in considerazione il fenomeno recente dell’accorpamento di alcune malghein un’unica realtà economica. Meno aziende quindi, ma più consistenti. Il processo di modernizzazione delle malgheha determinato adeguamenti strutturali e igienico-sanitari dei locali abitativi e di trasformazione, nonché il potenziamento della viabilità diaccesso e di servizio all’alpeggio, favorendo nelcontempo l’aspetto turistico. Nel corso degli anni Novanta diverse malghe sono state ristrutturate anche al fine di sviluppare un’attività agrituristica di ristorazione e alloggio. Applica
La presenza umana
La malga è un’azienda agricola in alta quota adapertura stagionale e come una qualsiasi azienda di collina o di pianura ha del personale che viopera, ciascuno con ben determinate mansioni.
Referente principale è il malghese che, proprietario o affittuario, è il direttore dell’“azienda malga”, della cui conduzione è sempre ecomunque responsabile: dalla custodia e cura degli animali a lui affidati alla gestione del pascolo, dall’organizzazione della giornata di lavoro al coordinamento delle risorse umane, animali e materiali. Solitamente le sue mansionipratiche consistono nella lavorazione del latte enella cura della cucina. Accanto a lui i suoi collaboratori, i pastori, che hanno una loro specializzazione a seconda dell’età ed esperienza.

Tratto da ERSA “Malga che vai formaggio che trovi”

 
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